Monopoli: quando e da chi è stato inventato | A spasso nel tempo
Quando e da chi è stato inventato Monopoli? Lo conosciamo tutti: Monopoli è uno dei giochi da tavola più famosi e utilizzati di sempre. Capace di far divertire qualsiasi fascia di età, è causa di scontri agguerriti, litigate tra amici e in famiglia, alleanze più o meno velate, aste forsennate e una speculazione edilizia che nemmeno gli anni 50 del secolo scorso…
Il primo volo in mongolfiera, l’uomo e il cielo | A spasso nel tempo
Il primo volo di un essere umano avviene il 19 settembre 1783 a bordo di una mongolfiera. Per la prima volta nella storia, l’invenzione dei fratelli Montgolfier solleva in aria due persone realizzando il sogno umano di volare. La gravità è sconfitta e anche il cielo, dopo la terra e l’acqua, è conquistato.
Nellie Bly e il giro del mondo in 72 giorni | A spasso nel tempo
E’ il 14 novembre 1889. Nellie Bly sta partendo per il viaggio più importante della sua vita. Tutto inizia da una sfida: compiere il giro del mondo in 80 giorni, come nel romanzo di Jules Verne. A gettare il guanto non è una persona qualunque ma il suo editore, mosto sacro della storia del giornalismo e non solo, di nome Joseph Pulitzer.
Pietro Savorgnan di Brazzà, eroe gentile e dimenticato PARTE 2/2 | A spasso nel tempo
Scopri la seconda parte della storia di Pietro Savorgan di Brazzà
Ecco la seconda parte della storia dell’esploratore ed eroe dimenticato Pietro Savorgnan di Brazzà. Se non hai ancora letto la prima parte puoi farlo qui.
Il corrotto Mizon crea il caos e appena gli è possibile con una scusa rientra, o per meglio dire fugge, in Francia. Anche Pietro, ormai senza un soldo, completa il ritorno, ma la situazione francese è cambiata. Adesso è solo. Non ha più l’appoggio del parlamento e della marina, e il trattato che tanta fatica gli è costato rischia di saltare. Questa volta non viene accolto come un eroe, ma con diffidenza e ostilità. La campagna diffamatoria di Leopoldo sta sortendo il suo effetto. Quello che più di tutto lo sconforta è la possibilità di tradire la fiducia di Makoko e degli altri capi tribù. Reagisce con forza, ci mette la faccia, fa conferenze, racconta i suoi viaggi, spiega alle persone come, guidato dalla non-violenza, e praticamente senza risorse, sia riuscito a creare un tipo di colonialismo gentile e rispettoso. È un successo.
Rientrato dall’Africa Stanley contrattacca e in un famoso discorso pubblico a Parigi, insulta e denigra il suo avversario e il suo stile non-violento. Pietro Savorgnan di Brazzà non ha paura, irrompe sulla scena e si rivolge al suo rivale con parole rispettose e pacate. Lo fa di fronte a tutti. Diventa un simbolo, i francesi lo celebrano, tutti i giornali sono dalla sua parte, la campagna mediatica è vinta, ancora una volta grazie alla sua grandezza e non alle sue armi. Il parlamento approva il trattato all’unanimità e Pietro a 30 anni è nominato Commissario Generale della Repubblica per l’Ovest Africano.
I dieci anni successivi sono di grande fermento: torna diverse volte in Africa dove adesso viene chiamato “Rocamambo”, “il grande comandante”, organizza un servizio di navigazione continua dalla Francia al Congo, contribuisce a tenere saldi i rapporti fra le varie tribù che ora collaborano tra di loro, la sua espansione gentile e quella delle bandiere francesi è inarrestabile. Al suo fianco anche il fratello Giacomo, naturalista che con lui (impegnando capitale personale) si occuperà di recuperare reperti per il Museo di Storia Naturale di Parigi. Centinaia di esemplari di flora, fauna e illustrazioni. Anche il glorioso Malamine sarà al suo fianco premiato addirittura con la massima onorificenza militare francese per un colono. Malamine, nonostante la salute lo stia abbandonando, non smette di svolgere il ruolo fondamentale di intermediario tra Pietro e il Congo. Pietro si batte perché ai lavoratori africani vengano garantiti diritti e un giusto compenso. L’emozione quando lui e Re Makoko finalmente si rincontrano è straordinaria. Pietro Savorgnan di Brazzà non solo ha tenuto fede alle sua promesse, ma sta contribuendo con tutti i suoi sforzi a creare qualcosa di mai visto prima in un clima di pace e collaborazione.
Il vento sta cambiando di nuovo, la politica europea a Berlino si spartisce il Congo.
La maggior parte del territorio finisce nelle mani di Re Leopoldo che fonda il nuovo Stato libero del Congo. Alla Francia una fetta più piccola il cui dominio, a causa delle sue precarie condizioni di salute, viene tolto dalle mani di Pietro. L’italo-francese subisce il contraccolpo degli anni passati in condizioni di viaggio costante e precarietà a causa anche di una Francia che con una mano gli da e con una gli toglie. Viaggia in Europa per portare ovunque il suo messaggio, ora più che mai la sua causa ha bisogno di lui e lui ancora una volta non si tira indietro. Una sua delegazione, su sua intuizione, tenta di collegare il Congo all’Algeria, che Pietro usa come base di appoggio, e dove ora ha una casa che condivide con la moglie che lo accompagna nei suoi viaggi.
Si perché in tutto questo il Savorgnan è riuscito a trovare il tempo e il modo di sposarsi, facendo il viaggio di nozze proprio in Italia, nel Friuli dei suoi avi. Sposa Thérèse de Chambrun, lei ha 35 anni, lui 43. Lui e il fratello hanno ottimi rapporti anche con Re Umberto I d’Italia. Il suo intento è quello di creare una via di comunicazione dall’interno dell’Africa tropicale al Mediterraneo. Ma i paesi nord africani, musulmani e molto più esperti in affari esteri e diplomatici si oppongono arrivando addirittura a massacrare la sua delegazione.
Pietro soffre di non poter essere in prima linea. La sua salute glielo impedisce, ma decide di ripartire comunque per l’Africa appena gli giunge una notizia drammatica: Malamine sta morendo, abbandonato dal nuovo governatore, ridotto in miseria, morirà in Senegal, solo e di malattia, prima che lui lo possa raggiungere. Pietro è distrutto ma non molla, non può permettere che tutto il suo lavoro finisca nelle mani dei conquistatori europei. Imitando il modello del far-west americano, lentamente ma inesorabilmente, stanno depredando con la politica e la guerra sempre più risorse africane, seminando odio e rabbia fra le popolazioni che l’italo-francese ha tanto ha amato.
Inghilterra e Francia arrivano ai ferri corti la guerra tra le due potenze è appena sfiorata. La Francia invia una delegazione di 20.000 soldati che deve unire il Cairo a Brazzaville. Per Pietro, esperto conoscitore del continente africano è un totale suicidio e tenta di opporsi anche se invano. Per la Francia la missione è fondamentale. Moriranno 10.000 portatori africani e la missione sarà costretta a fermarsi in Sudan. Savorgan sarà accusato di non avere racimolato abbastanza portatori e di aver tramato per il fallimento della campagna.
La macchina del fango della politica espansionista belga e inglese, riprende con forza a serpeggiare. La Francia decide di affidare ad aziende private vasti appezzamenti di territori, per sfruttarli al massimo. Tutto quello che Pietro ha costruito si sta sgretolando e lui lo sa benissimo. Ora che anche Makoko è morto di fronte ai suoi occhi la Francia ha cancellato la sua impronta gentile consegnando il Congo allo sfruttamento intensivo che ancora oggi non ha fine. Le sue malattie lo debilitano sempre più spesso e sempre peggio. Soffre di malaria ed epatite virale ed è costretto a rinunciare alla vita pubblica. Gli anni successivi si divideranno fra l’Italia, in particolare il Friuli, l’Algeria, e Parigi. Il governo francese lo toglie completamente di mezzo mandandolo in pensione forzata, una pensione d’oro, la più grande mai conferita a un francese, secondo solo a Pasteur.
Nel 1905 iniziano ad arrivare notizie preoccupanti dal Congo, crimini di ogni tipo e il caos totale dilagano da anni. La situazione è compromessa, l’immagine della Francia ancora peggio. Pietro, ora padre di 4 figli, viene richiamato dal suo paese. È l’unico in grado di riportare la luce in una colonia martoriata e salvare l’immagine francese. Gli amici più cari gli sconsigliano di accettare l’incarico. Savorgnan stupisce tutti ancora una volta: accetta la missione. Vuole fare tutto quello che è in suo potere per salvare il maggior numero possibile di africani e i loro rapporti, e poi ha qualcosa in mente. Accompagnato dalla straordinaria moglie consapevole che il marito non avrebbe mai rifiutato, ritorna in Africa.
Le società private che si spartiscono le risorse gli mettono i bastoni fra le ruote rendendo il suo rientro impossibile ma lui non si ferma. In Europa muore anche il suo eterno rivale, Stanley. Quando arriva in Congo scopre veri e propri campi di concentramento e di lavoro, uomini in catene e senza cibo. Distrutto nel fisico e nello spirito, scrive una relazione di profonda condanna morale per tutto quello che è stato fatto dai conquistatori, scagliandosi con forza contro di loro, Francia compresa. Ma non sarà lui a riportare in patria la sua relazione.
Durante il viaggio di ritorno le sue condizioni all’improvviso peggiorano definitivamente, per qualcuno si tratta di avvelenamento. Pietro Savorgan di Brazzà muore a 53 anni, vegliato dalla moglie, nell’ospedale di Dakar. Ancora oggi, sopra quel letto una scritta riporta: qui è morto Pietro Savorgnan di Brazzà.
La sua salma viene riportata a Parigi dove al suo funerale partecipano migliaia di cittadini e le più importanti cariche del paese. Il governo dispone che le sue spoglie vengano seppellite nel Pantheon, insieme ai più grandi eroi della nazione. Non accadrà mai. La moglie rifiuta l’ipocrisia della classe dirigente francese che ancora discute se rendere pubblica o no la sua relazione (che alla fine verrà insabbiata), per non creare ulteriori danni all’immagine dello stato. Thérèse fa trasferire e seppellire la salma del grande uomo, nella villa di loro proprietà ad Algeri, a fianco di quella del figlio Giacomo, morto prematuramente a 5 anni.
Le spoglie di Pietro Savorgnan di Brazzà di Thérèse e dei suoi figli oggi riposano in un mausoleo a loro dedicato a Brazzaville, la città che ha preso il suo nome.
Il messaggio di un uomo che ha messo al centro di tutta la sua attività i diritti degli africani, in un epoca in cui a nessuno importava di loro, che lo ha fatto in modo non violento, conoscendoli, amandoli e con loro collaborando ha molto da insegnarci. Pietro Savorgnan di Brazzà è stato un bagliore di luce in un’epoca buia e tremenda anticipando e introducendo un concetto di colonialismo gentile basato sul dialogo e il reciproco rispetto. Un dialogo capace di arricchire entrambe le parti. Ha ispirato intere generazioni di africani, dandogli la forza di lottare per i propri diritti. Il suo messaggio pacifista, mentre tutto il mondo intorno a lui usava i cannoni per depredare e conquistare, avrebbe dovuto regalarlo alla storia e invece noi ce lo siamo dimenticati. In pochi conoscono la storia di quest’uomo straordinario, al quale oggi voglio rendere omaggio.
Onore a te Pietro Savorgnan di Brazzà.
Fonti fotografiche e storiche:
http://www.pietrodibrazza.it/pietrodibrazza/cronologia/cronologia.html
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Dobbiamo stare in casa? Allora andiamo a spasso nel tempo
Sarebbe stato meglio chiudere il blog? Ci abbiamo pensato ma abbiamo deciso di no. Se non si può viaggiare fisicamente allora lo faremo a spasso nel tempo
In questi giorni ci siamo molto interrogati. Ci siamo chiesti: che senso può esserci nell’avere un blog di viaggio in tempi come questi? Tempi in cui, per il bene di tutti, la scelta migliore è quella di rimanere a casa. Giorni, settimane, mesi, quel tanto che basterà.
Tutto è così in aggiornamento costante e incerto che ci si sente sradicati dalla normalità. Una cosa che a volte osteggiamo, abitudini che sembrano annoiarci.
Come sempre accade però, quando perdi qualcosa, ti accorgi di quanto ti manchi l’abbraccio caldo di quella normalità. Un attimo prima progettavi una casa insieme, ce l’avevi lì a un soffio, ti preparavi per tirare su le materie nel secondo quadrimestre, ti eri ripromesso con il nuovo anno di ricominciare a fare sport. Un attimo dopo ti sembra impossibile. La coscienza collettiva esiste e in questo momento è agitata. Poi ho capito che invece in qualche modo questi giorni che sono di fatto una resistenza, nella guerra a un nemico invisibile ma aggressivo, sono qualcosa che anche nel male deve diventare un tesoro.
Quanto tempo è che non leggi un libro? Quanto tempo è che hai scordato cosa significasse fermarsi? Chi l’avrebbe mai detto che ti sarebbe mancata l’università, la scuola. Mi sono anche chiesto spesso in questi anni quale contributo la mia generazione (ho quasi 32 anni) sarebbe stata in grado di lasciare ai posteri.
In 20 anni siamo passati dalla musicassetta al cloud. Abbiamo visto viaggi in aereo che erano per pochi, diventare low cost. Siamo passati dalle usa e getta agli smartphone, dai rullini immancabilmente bruciati ai profili dei social, polaroid delle nostre vite. Siamo passati dalla partitella al campetto, ai videogiochi online. Siamo stati forse la generazione che più di tutte nella storia dell’umanità ha visto quanto possa essere veloce l’evolversi della tecnologia. Poi è arrivata la crisi. Quando per la maggior parte di noi era tempo di comprare casa, mettere su famiglia, consolidare le proprie posizioni lavorative, il proprio futuro. E ci siamo fumati 10 anni, in un amen. È finita l’era di un sistema, ne è iniziata un’altra e di quei 10 anni, per la cronaca, primo o poi chiederò un risarcimento danni a qualcuno.
Alla fine ho buttato tutto nel frullatore e ho capito che anche questo, come allora, è un momento storico. Storia di cui che lo vogliamo o meno siamo parte. Dobbiamo superare questa sfida. Ci sarà un prima e un dopo ma c’è anche un mentre. Questo mentre è quello su cui ci dobbiamo concentrare, per sfruttarlo al massimo delle possibilità, perché quando tutto questo sarà finito ne raccoglieremo i frutti. Quindi che si fa? Si viaggia lo stesso, ci costruiamo la macchina del tempo, con la speranza di tornare il più presto possibile a prendere un volo per la California, un treno per Roma, un traghetto per la Sardegna. Per questo motivo con oggi inauguriamo una rubrica sul blog che chiameremo proprio “A spasso nel tempo”. Un viaggio è un viaggio, lo è anche la scoperta di una storia che magari non si conosce.
Forse la mia generazione, nonostante la tendenza dilagante sia il contrario, ha proprio questo compito: fare si che i nostri figli continuino a viaggiare, a muoversi liberamente in un mondo più pulito e più giusto, abbattendo sempre più barriere, fisiche ma soprattutto ideologiche. Che continuino a sperare di poter realizzare i propri sogni, qualsiasi essi siano, dovunque arrivino, ovunque vadano, restando sempre e comunque umani. Se perdiamo di vista questo obbiettivo, se smettiamo di sognare e di dargli la possibilità di poter sognare, significa che stiamo perdendo di vista tutto quanto. Sarà un bellissimo viaggio anche tornare alla normalità.